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COVID-19

Centomila lacrime

di Monica Vaccaretti

Oggi è il 18 marzo. Lo era anche un anno fa. Ed è soltanto ieri. È ancora oggi. È stato un giorno che non si può dimenticare, un altro giorno della memoria. Da commemorare. A testa china e a mezz'asta. Non soltanto per Bergamo e per ogni anima che gridando era sui quei camion militari che lenti attraversavano la città deserta e la notte silenziosa. Non soltanto per ogni anima che veniva portata via dal virus e dal camposanto, perché non c'era più terra da posare sopra lieve. Ed il fuoco non bastava, né di giorno né di notte.

18 marzo: oggi ci sono soltanto parole di silenzio

Ci sono parole per ogni silenzio, ho pensato guardando oggi le immagini di un anno fa e piangendo centomila lacrime lunghe un anno. Una lacrima per ogni italiano. Non posso piangere tutte le lacrime del mondo. Basterebbero quelle per ogni vicentino, sono quasi duemila. Li sto ricordando i miei concittadini, magari li ho incontrati per strada qualche volta. Vorrei chiamarli per nome mentre sulla pagina Facebook della mia Ulss scorrono le immagini del video che il fotografo Mauro Pozzer ha realizzato.

Uno struggente reportage nel mio ospedale sul personale sanitario impegnato nei reparti Covid e sulle persone che sono su quei letti. L'anno prima della pandemia ci aveva già amabilmente narrati sulle sue fotografie chiamandoci per nome in City of Angels. Ci aveva appeso in divisa con i nostri sorrisi e i nostri sogni fuori dalla divisa. Aveva colto i gesti quotidiani delle nostre mani e nel bianco e nero aveva scattato tutta l'intensità che ci mettiamo in quel che facciamo.

Nessuno, nessuno oggi si salva da solo, avrebbe mai pensato di staccarsi da quelle pareti su cui il fotografo ci aveva appeso e di uscire dal book fotografico per andare poco tempo dopo a chiudersi in reparti trasformati in aree Covid. Eravamo davvero una Città degli Angeli, l'ospedale è da sempre una città dentro la città e con Covid-19 la città si è barricata e gli angeli forse sono diventati ancora più angeli. Senza ali, ma con le maschere bianche e le tute bianche con la righetta blu.

Siamo tutti Bergamo. Come siamo tutti San Paolo in Brasile. Soltanto siamo stati i primi del mondo occidentale ad essere colpiti ed è per questo forse che gli angeli italiani sono stati candidati al Premio Nobel per la Pace. Abbiamo tutti bisogno di pace. E gli angeli sono angeli in ogni angolo della terra, perché non stanno in cielo.

Oggi mio figlio, che studia fotografia e vorrebbe essere invece uno di noi, mi ha chiesto, guardando le immagini del fotografo, che cosa ci spinge a fare quello che facciamo. Gli ho sorriso tra le centomila lacrime e gli ho detto.

Perché semplicemente siamo fatti così. Amiamo. Abbiamo ideali. Ce li portiamo dentro forse da quando siamo bambini. Ci crediamo. Non possiamo farne a meno. È la nostra mission. È quello che vogliamo fare e dare di noi. Ci viene spontaneo. Perché non c'è niente di più bello. Ci fa stare bene se lo facciamo. Perché siamo umani. Salvando la gente forse salviamo l'umanità. Forse salviamo ogni giorno un po' di noi

Ci sono centomila lacrime oggi e tra queste qualcuno di noi angeli piange qualche angelo di corsia che ha perduto. Ma tra le lacrime e il suono del silenzio e la musica che accompagna le mie parole in bianco e nero, penso che torneranno anche centomila sorrisi. Che torneremo appesi su quelle pareti lungo il corridoio del pianterreno dell'ospedale con i nostri sorrisi. E che torneremo lì a guardarci, quando tutto sarà finito, per riprenderci i nostri sogni sospesi e staccarci da lì. Oggi ci sono soltanto parole di silenzio. E centomila lacrime da piangere insieme.

Infermiere

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