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Co-sleeping e sonno sicuro

di Redazione

Con il termine co-sleeping vengono identificate due pratiche diffuse e culturalmente accettate: la “condivisione del letto” (bed-sharing o “sonno al seno”) ovvero la condivisione di una superficie per il sonno tra neonato e caregiver per tutta la notte o parte di essa, e la “condivisione della stanza” (room-sharing) in due superfici per il sonno differenti. Il co-sleeping è attualmente oggetto di numerose discussioni all’interno della comunità scientifica internazionale in quanto risulta essere una pratica che promuove l’avvio e la durata dell’allattamento al seno ma, allo stesso tempo, può portare ad un rischio aumentato di morte infantile correlata al sonno, se non praticata in maniera sicura.

Condivisione sicura del letto tra mamma e bambino

Gli operatori sanitari coinvolti nell’educazione alla nascita e alla prima infanzia dovrebbero informare genitori e famiglie in merito alla pratica della condivisione sicura del sonno

Nel 2019 l’Academy of Breastfeeding Medicine (ABM) ha pubblicato il protocollo per la condivisione sicura del letto, frutto di un’attenta revisione di letteratura, che ha analizzato rischi e benefici del co-sleeping.

Il punto saliente per la corretta pratica del co-sleeping riguarda le conoscenze parentali in materia: infatti, neo-genitori e futuri genitori dovrebbero essere istruiti ed aggiornati in merito alle norme di educazione sanitaria e, in questo caso, di igiene del sonno, attraverso interventi di operatori perinatali in epoca precoce, già in gravidanza, attraverso colloqui informativi mirati e la condivisione di raccomandazioni sul sonno sicuro.

La SIDS (Sindrome della morte improvvisa del lattante, Sudden Infant Death Syndrome) colpisce in media un bambino su 1.500-2000 e in Italia causa circa 300 decessi l’anno.

In relazione alle attuali evidenze disponibili, l’AAP non raccomanda il bed-sharing, soprattutto nei casi in cui vi è un rischio aumentato di SIDS, ovvero quando si ha a che fare con bambini con meno di 4 mesi di vita, nati pretermine o con basso peso alla nascita.

Vi è pieno accordo sul fatto che il bed-sharing promuova l’allattamento al seno, uno dei principali determinanti della salute umana, ma la sua sicurezza resta dibattuta. Va certamente evitato se i caregiver sono fumatori, obesi, se fanno uso di alcol, psicofarmaci o sostanze stupefacenti, se non sono in buone condizioni di vigilanza (molto stanchi o malati), se il bambino è affetto da esiti di sofferenza fetale/ neonatale o non è allattato al seno.

Il latte materno risulta essere maggiormente digeribile rispetto alla formula, per cui il neonato allattato al seno a richiesta, richiede di attaccarsi frequentemente nell’arco delle 24 ore. La condivisione del letto facilita l’allattamento poiché garantisce uno stretto contatto mamma- bambino anche durante le ore notturne.

I neonati in bed-sharing hanno un sonno più leggero, che facilita il rapido risveglio in caso di apnea e sono protetti da potenziali fattori di stress, grazie alla percezione di maggior accudimento da parte del caregiver, rispetto ai neonati che dormono da soli.

La condivisione del letto è associata a poppate notturne più frequenti, che favoriscono continuità nella produzione lattea e, di conseguenza, a una maggior durata dell’allattamento stesso. Secondo ricerche, le nutrici si svegliano più frequentemente durante la notte per allattare ma si riaddormentano più rapidamente, ottengono, quindi, una maggior durata complessiva del sonno a differenza da chi non allatta.

Uno studio randomizzato ha esaminato l’avvio dell’allattamento nei reparti maternità: nei neonati che dormivano in culle separate dal letto della madre, le poppate risultavano essere meno della metà rispetto ai neonati che dormivano in culle affiancate al letto materno.

L’alimentazione con sostituiti del latte materno (formula, latte artificiale) si associa a un rischio aumentato di SIDS che può essere dovuto sia ad una soglia di risveglio più bassa rispetto a neonati allattati, che ad un maggior rischio infettivo.

Nell’ultimo decennio, sono state adottate diverse politiche per informare i genitori in merito alla condivisione del letto. Negli Stati Uniti sono state diffuse raccomandazioni a sostegno del room-sharing, ma non del bed-sharing; nel Regno Unito, invece è stato riconosciuto che la pratica della condivisione del letto viene messa in atto, sia intenzionalmente che non, quindi l’impegno si è rivolto alla corretta educazione sanitaria volta ad informare e sensibilizzare genitori e famiglie ad attuarla in sicurezza.

Nonostante le campagne statunitensi destinate a ridurre la pratica del bed-sharing (come l’approccio “ABC: Alone, Back, Crib”), i dati dimostrano che i tassi di neonati in bed-sharing sono aumentati, soprattutto nei primi 6 mesi dal parto e il numero di morti per SIDS risulta invariato. Nel Regno Unito, invece il tasso approssimativo di SIDS è in decrescita rispetto ai 10 anni precedenti.

Il caso dei Paesi Scandinavi

Il sonno diurno dei neonati è molto meno discusso del sonno notturno. Nel contesto della Scandinavia, i modelli di sonno notturno e diurno possono sembrare contraddittori: il bed-sharing è una pratica diffusa per il sonno notturno (in Norvegia circa il 60% dei bambini al di sotto dell’anno di vita condivide il letto con i genitori) mentre per il sonno diurno è consuetudine lasciar dormire i bambini all’aperto, da soli nel passeggino, anche in inverno.

Le ricerche su questo argomento risultano essere scarse. I pochi studi sembrano suggerire che i bambini dormano più a lungo quando sono all’aperto. Le madri finlandesi sostengono i benefici per la salute derivanti lo stare all’aria aperta, desiderano infondere rispetto e amore per la natura e si preoccupano dell’adattamento a condizioni meteorologiche avverse caratteristiche dell’ambiente settentrionale. Questa pratica risulta essere culturalmente accettata dalle comunità locali. Le società scientifiche non hanno finora espresso pareri in merito a tale usanza.

Articolo a cura di:

  • Arianna Roncoroni | Ostetrica presso Clinica Santa Chiara Locarno CHE
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