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Gimbe: gli infermieri restano pochi e svalorizzati

di Redazione

Gli infermieri italiani negli ospedali restano pochi, continuano ad essere sottopagati con stipendi ampiamente inferiori alla media europea, hanno limitate prospettive di carriera, lavorano in contesti con problemi organizzativi e presentano maggiori rischi legati alla sicurezza. È questa la fotografia aggiornata della figura dell'infermiere e delle sue condizioni lavorative, presentata nell'ultimo report dell'Osservatorio Gimbe che va a confermare le ragioni per cui la professione infermieristica in Italia è sempre meno attrattiva per i giovani e sempre più insostenibile per chi già la esercita.

Missione Salute Pnrr, Gimbe: resta grave la carenza di infermieri

Nino Cartabellotta, presidente GIMBE

Dal quadro oggettivo sui risultati raggiunti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, monitorati periodicamente ed indipendentemente al fine di informare i cittadini evitando strumentalizzazioni politiche, emerge che non è stato affatto risolto il nodo cruciale della grave carenza di personale infermieristico e della sua scarsa valorizzazione.

Il problema non è stato affrontato nemmeno nel piano di rimodulazione del Pnrr, approvato con decreto lo scorso 23 aprile allo scopo di rendere il progetto di ripresa e resilienza più realizzabile. Il sistema sanitario italiano conta ancora 6,2 infermieri per mille abitanti, ben inferiore rispetto alla media europea Ocse di 9,9, che vengono pagati molto meno rispetto ai colleghi dell'UE che percepiscono mediamente 35030-44250 mila euro.

Gli stipendi degli infermieri italiani hanno altresì perduto negli ultimi venti anni il potere di acquisto, più che in ogni altro Paese membro dell'Organizzazione per la cooperazione e lo viluppo economico. Secondo le stime di Agenas, il Paese avrebbe bisogno di oltre ventimila infermieri in più nei suoi ospedali (da 19.450 a 26.850). L'imponente carenza stride con l'enorme fabbisogno che sarebbe necessario anche per implementare l'assistenza territoriale, prevista dal Pnrr, grazie agli infermieri di famiglia e di comunità.

Nella quarta relazione sullo stato di avanzamento del Pnrr la Fondazione Gimbe segnala che, sebbene la Missione Salute risulti in regola con le scadenze europee (soltanto perché non ne erano previste nel primo trimestre 2024) avendo raggiunto tutti gli obiettivi previsti nel 2021 e 2022, permangono tuttavia ritardi nell'attuazione di alcuni target nazionali e sussistono marcate differenze tra il Nord e il Sud del Paese.

Si registrano alcune criticità che vanno ad indebolire il suo impatto sul servizio sanitario italiano, soprattutto la grave carenza di infermieri, già ampiamente nota ai decisori politici e più volte segnalata da vari organismi. Si sollevano dubbi sull'efficacia complessiva del progetto in materia sanitaria e si rilevano profonde incognite sulla destinazione delle sostanziose risorse rimosse e sui tempi di realizzazione degli interventi rimandati al 2026.

Rinviare scadenze e rimodulare al ribasso gli obiettivi del Pnrr senza chiarire la distribuzione regionale dei tagli, l'entità e la disponibilità delle risorse necessarie e la definizione di nuove scadenze per quanto rimasto fuori dal piano di rimodulazione, indebolisce ulteriormente il Servizio Sanitario Nazionale. Così Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, commentando il provvedimento del Governo.

Il rapporto, che riporta le variazioni decise dall'esecutivo ed approvate dalla Commissione Europea, evidenzia come tale rimodulazione, che ha permesso di redistribuire alcune risorse rispetto al piano originale, ha di fatto penalizzato la realizzazione di alcuni progetti come la costruzione di nuove strutture sanitarie o l'incremento dei posti letti destinati alle terapie intensive, andando a penalizzare soprattutto il sistema sanitario delle regioni meridionali dove la dotazione iniziale era già più limitata.

Analizzando il piano nei dettagli, emerge che sono state rimosse complessivamente, su tutto il territorio nazionale, 312 Case di Comunità, 120 Centrali Operative Territoriali (COT), 93 Ospedali di Comunità, 808 posti di terapia intensiva, 995 posti di semi-intensiva. L'articolo 1 del decreto Pnrr ha previsto inoltre lo spostamento di un miliardo di euro, prima previsto per l'ammodernamento degli ospedali, destinandolo invece all'edilizia sanitaria generica.

Sono state rimandate l'attivazione delle COT, la stipula di contratti per gli strumenti di intelligenza artificiale a supporto dell'assistenza primaria e l'installazione di grandi apparecchiature, target previsti per il 2023, senza dare tuttavia indicazione chiara su come e quando questi progetti saranno ripresi in futuro. Questo differimento temporale è stato motivato da criticità minori, quali lo smaltimento delle vecchie apparecchiature e l'adeguamento dei locali che inevitabilmente condizionerà l'esigibilità delle prestazioni diagnostiche con apparecchiature più moderne ed efficienti, in un periodo storico caratterizzato da tempi di attesa già estremamente lunghi, chiarisce Cartabellotta.

Sono stati ridotti anche gli interventi per migliorare la sicurezza degli ospedali adeguandoli alle norme antisismiche. Si tratta dell'investimento denominato “Verso un ospedale sicuro e sostenibile”, rimandato a data da destinarsi perché non dovrà rispettare la scadenza del 2026, nonostante sia fondamentale proteggere gli ospedali per il loro ruolo strategico e di soccorso in caso di disastro, tenendo altresì conto che ospitano un elevato numero di persone la cui messa in sicurezza è condizionata dall'inabilità individuale, spiega.

Vengono altresì ostacolati altri obiettivi nazionali, come l'incremento dei pazienti over 65 in assistenza domiciliare. Rischia pertanto di non essere raggiunto l'obiettivo di raggiungere almeno il 10% della popolazione italiana sul territorio prendendo in carico almeno 1,5 milioni di persone nel 2026 (+808mila assistiti). Il dato nazionale riportato da Agenas secondo il quale questo obiettivo è stato raggiunto (+1%) è distorto dai risultati estremamente differenti raggiunti dalle Regioni, denuncia Cartabellotta. Dalla specifica analisi delle singole Regioni emerge infatti che si tratta di un risultato compensato da quelle più virtuose: in Sicilia il miglioramento è stato soltanto dell'1% rispetto al 235% della Provincia Autonoma di Trento e al 206% dell'Umbria.

Le variazioni quantitative dei progetti e i differimenti temporali, come stabilito dalla rimodulazione, hanno interessato sia la componente 1 della Missione Salute - che riguarda le reti di prossimità, le strutture e la telemedicina per l'assistenza sanitaria territoriale – sia l'innovazione, la ricerca e la digitalizzazione del servizio sanitario. Tutto quanto espunto dal piano di rimodulazione potrà essere realizzato comunque solo dopo giugno 2026, data di scadenza ultima delle opere del Pnrr, avverte Cartabellotta ricordando che la Commissione Europea ha già fatto sapere che non sono previste proroghe. Intanto il persistere del divario tra regioni settentrionali e meridionali, che va a pesare significativamente soprattutto sullo stato di salute del Ssn del Sud, nonché il perdurare della carenza di infermieri rendono il panorama sanitario italiano sempre più critico.

La Missione Salute del Pnrr è indubbiamente una grande opportunità per potenziare il Ssn, ma solo nell'ambito di un rilancio complessivo della sanità pubblica. Ovvero non può essere la stampella per sostenere un Ssn claudicante. La sua attuazione deve essere sostenuta da coraggiose azioni politiche, non da interventi al ribasso, conclude Cartabellotta.

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