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editoriale

Si muore ancora per mano di un uomo

di Monica Vaccaretti

Il femminicidio è un atto criminale, come lo ha definito la criminologa inglese Diana Russel. È una piaga mondiale. Secondo i dati ONU nel mondo ogni anno vengono uccise 87mila donne per motivi di genere. Si tratta dell'epilogo estremo della violenza che si esprime, per motivi di odio e disprezzo di un uomo verso una donna, in vari modi. L'aspetto che inquieta maggiormente, oltre alla brutalità e all'illegalità dell'atto, è che quasi sempre è qualcuno che ti conosce che ti fa fuori, qualcuno di cui ti fidavi. Raramente è un perfetto sconosciuto, senza legami di sangue e di sentimento. Un amante, un marito, un amico. Anche un padre o un fratello.

Rossella Nappini, infermiera, è la 78esima donna uccisa nel 2023 in Italia

Per l'omicidio dell'infermiera Rossella Nappini è accusato di omicidio volontario con l'aggravante della premeditazione Adil Harrati, marocchino 45enne con il quale la donna avrebbe avuto una relazione.

Un'infermiera romana è stata uccisa a coltellate dal suo ex compagno. A Napoli un uomo ha dato fuoco con un accendino a una donna di 48 anni, dopo averle gettato addosso del liquido infiammabile mentre era in auto.

Era il suo vicino di casa. Il movente banale: un parcheggio sotto casa conteso. La donna versa in condizioni disperate al Cardarelli.

Sopravvivere ad un femminicidio non scagiona nessuno. Prima di arrivare al suo omicidio, una donna di solito passa attraverso una serie di nefandezze ed abusi, fisici e psicologici, di cui probabilmente si accorge ma che subisce per vari motivi, non solo affettivi.

Ci sono tanti modi per uccidere una donna. Perdere la vita è un male immenso ma morire dentro, lasciandoti in vita, è un male peggiore. Una donna muore non soltanto con lo stupro ma già al primo schiaffo, alla prima sottile umiliazione, alla prima mancanza di rispetto che colpisce inaspettatamente.

La ferita viene inflitta da chi è vicino, intimo, ci ama (o così dice). Si rimargina a fatica, per tante intenzioni, forma aderenze dure. Restano cicatrici spesse. Dovrebbe almeno morire il sentimento per un uomo che alza le mani e la voce, soprattutto se succede una seconda volta e poi ancora, come un'abitudine insana.

La donna dovrebbe sentir rifiorire l'amor proprio e l'istinto di sopravvivenza, prima che sia troppo tardi così che possa mettersi in salvo. Sono storie invece che durano mesi, anni. Si resta, troppo a lungo. E, a volte, troppo sole. Senza chiedere aiuto. O senza trovarlo. Si spera che lui cambi. La donna dà una seconda opportunità all'umanità. Anche a quella del suo uomo. A volte si cerca di salvare lui per salvare noi, siamo come tante Ingrid Bergman con Gregory Peck in “Io ti salverò”. In nome dell'amore. Che c'è. C'è stato. O ci si illude che ci sarà.

Sono storie tutte uguali, cambia lo stato civile e la classe sociale. Sposata, separata, divorziata. Single. Ricca. Povera. Disoccupata, che dipende economicamente dal compagno. Lavoratrice, indipendente come un'infermiera. Con figli o senza figli. Cambia il luogo del delitto, dipende dove vanno meglio a tenderti l'agguato mortale. In casa, per strada, al lavoro. La scena del crimine a Roma è stato un androne di un condominio nel quartiere Trionfale Primavalle. A cadere, dopo aver sceso o salito le scale del palazzo in via Giuseppe Allievo dove viveva con la madre e i figli, è stata l'infermiera colpita all'addome con un coltello e lasciata morire dissanguata. Due giovani studenti hanno scoperto l'orrore. Ha gridato? Nessuno sente mai niente?

Rossella Nappini, che lavorava all'ospedale Filippo Neri, è la 78esima donna uccisa nel 2023 in Italia. Cercando indizi sul caso, i giornali riportano che aveva a cuore il tema della violenza sulle donne, si interessava a raccogliere fondi per qualche centro di tutela. Solo lei conosceva la storia della sua relazione finita male, le sue dinamiche.

Aveva un profilo comune a tutte noi. Femmina. E madre. Scopriamo la sua età, 52 anni il prossimo novembre, dall'Albo dell'Ordine degli Infermieri della capitale. Secondo il New York Times, che ha scritto della vicenda che ha colpito persino oltreoceano per la sua crudeltà, questi ripetuti fatti di cronaca nera contro le donne sono il segno preoccupante di una cultura patriarcale, tipicamente italiana.

Si consumano violenze, anche se non finiscono nel sangue, ogni giorno, spesso sono domestiche. Capita anche che ce ne siano più di una al giorno o che, per emulazione, si ripetano ravvicinate, un giorno dopo l'altro, che sembra scoppiata un'epidemia di violenza.

Talvolta l'assassinio è d'impeto, spesso è premeditato

Viene pensato. In fondo, il femminicidio nasce da un'idea distorta che si ha della donna, della situazione, della relazione. Ti ammazzano con l'arma bianca, con un proiettile, a mani nude. A volte addirittura ci provano lentamente con il pesticida da topi, che se porti in grembo un loro figlio diventa un'aggravante, se non lo vogliono, non per l'assassino ma per la vittima colpevole di essere gravida.

Qualcuno ti taglia a pezzi e ti mette dentro un sacco nero per gettarti nel fiume. Per far sparire il cadavere, ti sotterrano da qualche parte che poi ci mettono mesi a ritrovarti o salti fuori per caso. Non ti uccidono e basta. Infieriscono. Oppure ti mettono dentro un carrello della spesa e ti lasciano accanto al cassonetto delle immondizie, come un rifiuto ingombrante da portare all'ecocentro al prossimo giro dei netturbini. Visto che dentro non ci stiamo, si finisce, da adulte, come uno di quei neonati non voluti. Siamo donne che danno la vita e la perdono allo stesso modo, come un bambino.

E ancor si muore per mano d'uomo. Che dice o diceva di amare una donna. Che se l'amore finisce, non la lascia libera di andarsene e la tormenta, la spaventa. Ti stalkerizza, da vicino e da remoto. Accanto ad un uomo che arriva ad uccidere, a sangue freddo o perdendo il lume della ragione, c'è una donna che diceva di amare un uomo, e che forse in qualche modo ancora ama o non riesce comunque a strapparselo dal cuore.

Ci sono legami che rendono reciprocamente schiavi. Ogni carnefice ha la sua vittima ma anche la vittima può essere carnefice di sé stessa. Il femminicidio forse si genera da un amore che diventa fastidio, insofferenza, schifo, odio?

Ad ogni donna che muore la società si indigna e si aggiunge simbolicamente una scarpetta rossa con il tacco sui gradini e sulle piazze delle città, alla prossima giornata contro la violenza di genere. Una cultura di valore ed inclusiva, rispettosa della vita e di ogni persona e creatura vivente - che sia una donna, un giovane musicista napoletano, una capretta in un agriturismo o l'orsa Amarena - si promuove certamente anche con queste iniziative di sensibilizzazione.

Ma poiché l'orrore peggiora ad ogni nuovo assassinio anche le scarpette rosse lasciano il tempo che trovano, come i palloncini colorati che si liberano in cielo sopra le bare, ad ogni funerale di femmina uccisa. Che costume sociale è poi battere le mani alla fine quando quelle mani non hanno fatto niente prima?

Anziché applaudire, che l'applauso non è conforto, dobbiamo piuttosto interrogarci su come trovare una soluzione profonda, che scavi nelle radici delle nostre coscienze personali e collettive, a questa deriva etica e alla perdita di valori supremi. Il femminicidio è una questione di mentalità, che affonda qualcosa nell'animo umano.

Forse c'è sempre stato, è narrato persino nella mitologia greca, ma oggigiorno la frequenza è allarmante. Nonostante pene più aspre e leggi più severe, l'uomo non smette di uccidere una donna. E se è pur vero che il delitto al contrario è molto raro – non si sente mai dire “maschicidio” - ci deve pur essere una qualche insana ragione per quest’odio verso il genere femminile. O forse la donna nutre uno odio pari a quello dell'uomo ma esprime in altro modo la sua violenza contro il genere maschile, senza ucciderlo?

E noi si muore, avendo la peggio nello scontro fisico, soltanto perché non riusciamo a difenderci, essendo fisicamente più fragili? In ogni caso è questione di qualcosa che va decisamente storto in un rapporto di coppia o di famiglia.

Il femminicidio, in tutte le sue forme, nasce da una relazione tossica

È generato da rapporti affettivi malati e instabili. La vittima, anche solo per il fatto di soccombere indifesa, non è mai da colpevolizzare. Ha già un peso enorme da sopportare, senza che i benpensanti aggravino il suo fardello di colpe, giudizi e sentenze sputate nei bar e sui social media. Ci sono tante persone che la pensano alla Giambruno, l'anchorman del Tg 4 secondo il quale - riferendosi al caso di violenza sessuale di gruppo sulla diciannovenne di Palermo(LINK) - se eviti di ubriacarti e di perdere i sensi, magari eviti anche di incorrere in determinate problematiche perché poi il lupo lo trovi.

I lupi sono ovunque, anche dentro casa propria. E attaccano anche quando sei sobria e ben sveglia. Forse li vediamo troppo tardi, o meglio accettiamo di vederli come lupi e non come agnelli quando ormai ci stanno sbranando.

Non si tratta di colpe e di lupi. Forse bisogna trovare la franchezza di dire, come donna, che la donna, pur non avendo mai colpe di essere uccisa per mano d'uomo né di venire stuprata, può tuttavia sbagliare. Generalmente sbaglia, e muore, per amare troppo e amare male. Commette errori che la possono mettere in pericolo, specialmente se gli errori li ripete più o meno consapevolmente.

Tende ad essere recidiva, la donna

Perché ci crede sempre e ancora, una volta di troppo, all'amore. Sbaglia quando accetta di incontrarlo all'ultimo appuntamento, non dovrebbe mai andare, dicono i poliziotti. Sbaglia quando non denuncia. E si tiene la sua paura, pensando di farcela da sola a gestire una faccenda sentimentalmente ingarbugliata.

Sbaglia se ha una relazione disturbata e complicata, accettando di viverla nell'ombra e di nascosto. Sbaglia se perdona l'imperdonabile, sino ad annullarsi e a perdere la propria dignità. Sbaglia se elemosina amore e lo va a cercare dove l'affetto non c'è più o non c'è mai stato. Sbaglia se si accontenta, pur di non restare sola. Sbaglia quando non scappa e si fa investire emotivamente da un treno sui denti. Sbaglia quando, fallimento dopo fallimento, ci ricasca, per bisogno o desiderio, al primo complimento e sorriso di un altro uomo.

Mi fa male pensare che nemmeno un'infermiera, che di salute si occupa, non sia riuscita a salvarsi da una relazione malata. Perché anche lei, in fondo, era una donna. Nata non per essere piegata e domata ma per essere aperta, fiduciosa, calorosa, creativa e viva. Per salvarsi, la difesa più forte, mentre aspettiamo che le persone cambino la propria cultura, è la nostra consapevolezza.

L'antropologa Marcela Lagarde definisce il femminicidio un'oppressione di genere. Essa scrive che per fare in modo che il femminicidio si compia nonostante venga riconosciuto socialmente e senza provocare l'ira sociale, fosse anche della sola maggioranza delle donne, esso richiede una complicità ed un consenso che accetti come validi molteplici principi concatenati tra loro: interpretare i danni subiti dalle donne come se non fossero tali, distorcere le cause e le motivazioni, negarne le conseguenze.

Tutto ciò avviene per sottrarre la violenza contro le donne alle sanzioni etiche, giuridiche e giudiziali che invece colpiscono altre forme di violenza, per esonerare chi esegue materialmente la violenza e per lasciare le donne senza ragioni, senza parola, e senza gli strumenti per rimuovere tale violenza. E conclude sostenendo che nel femminicidio c'è la volontà, ci sono decisioni e ci sono responsabilità sociali ed individuali.

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