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Patologia

Frattura del collo del femore

di Monica Vaccaretti

Le fratture del collo del femore, l'osso centrale per movimento, interessano la regione del femore che unisce la testa sferica alla diafisi femorale. Si tratta della sede anatomica che supporta tutto il carico. Leggermente ruotato verso l'avanti rispetto al corpo del femore con il quale forma un angolo di 125°, il collo presenta alla sua base l'inserzione con la capsula articolare che unisce il femore al bacino, mantenendo fissa la testa nell'acetabolo.

Sintomi e complicanze delle fratture del collo del femore

Frattura collo del femore

Sono anche dette mediali, distinguendosi da quelle laterali o pertrocanteriche tipicamente legate alla fragilità ossea (osteoporosi).

Discretamente frequenti, rappresentano circa il 10% di tutte le fratture, sono solitamente tipiche delle persone anziane, ma possono interessare anche i soggetti più giovani in seguito a traumi ad alta energia.

Le fratture del collo del femore sono provocate infatti da un trauma diretto a livello della regione trocanterica o più spesso da una violenta sollecitazione in eccessiva apertura o chiusura dell'arto inferiore.

In seguito alla frattura il femore, per azione dei muscoli glutei inseriti sul trocantere e non più bilanciato dalla continuità del collo, ruota all'esterno, risale in alto e si sposta verso il lato opposto. Il piccolo frammento costituito dalla testa ruota invece in basso, in dentro e indietro. Si perdono pertanto quasi completamente i contatti tra la testa ed il collo femorale. Può comparire altresì una deformità a livello inguinale. Il dolore è vivo, intenso, talvolta tuttavia modesto.

Sintomo comune è la perdita di funzionalità dell'arto ossia il movimento compromesso: il paziente non riesce a sollevale l'arto, a mantenere la stazione eretta e a deambulare. L'arto inferiore si presenta deformato, ossia accorciato e con rotazione esterna. Raramente compare un'ecchimosi perché l'ematoma rimane intracapsulare.

Le complicanze iniziali sono lo shock ipovolemico o traumatico, l'embolia gassosa, la sindrome compartimentale, l'embolia polmonare, la coagulazione intravasale disseminata, l'infezione. Le complicanze più tardive sono un ritardo o una mancata unione dell'osso, la necrosi avascolare dell'osso, la reazione ai mezzi di fissazione, l'ossificazione eterotrofica

Le condizioni generali del paziente anziano, solitamente già precarie prima della frattura, peggiorano rapidamente nel giro di qualche giorno se non si interviene si manifestano:

  • aumento della glicemia
  • azotemia
  • scompenso di affezioni cardiache prima equilibrate
  • anemizzazione
  • lesioni cutanee (piaghe da decubito)

Come si tratta la frattura del collo di femore

Il trattamento è quasi esclusivamente chirurgico con tempi di guarigione variabili che possono richiedere anche diversi mesi a seconda del tipo di frattura, dell'età del paziente e della tempestività dell'intervento chirurgico.

Nei rari casi non operabili per gravissimi squilibri di ordine generale che potrebbero compromettere la vita del paziente si deve assicurare l'analgesia e muovere subito il paziente dal letto, ponendolo a sedere in poltrona. La frattura abbandonata a sé stessa provocherà una grave insufficienza funzionale dell'arto, ma in tal modo il paziente riesce a salvarsi.

L'unica terapia valida è quella chirurgica che deve essere attuata nel più breve tempo possibile

Oggi il notevole perfezionamento delle tecniche anestesiologiche permette di operare quasi tutti i pazienti, anche dopo i 90-95 anni di età. Nel paziente anziano si ricorre ad una protesi d'anca, un'articolazione artificiale che sostituisce sia il collo che la testa del femore che vengono asportate.

Se il paziente è giovane (età inferiore ai 60-65 anni), la frattura è composta e non vi sono segni di artrosi dell'articolazione oppure in soggetti di oltre 65 anni validi o attivi ai quali bisogna restituire al più presto la possibilità di deambulare, anche per evitare le pericolose conseguenze di un allettamento prolungato (trombosi venose profonde ed embolie), per i quali si deve ottenere una consolidazione della frattura su un'anca indolore, è consigliata l'osteosintesi con viti transcervicali libere o con placca laterale di neutralizzazione.

Una volta stabilizzata la frattura del collo del femore, il movimento precoce dell'articolazione dell'anca sarà possibile ma occorrerà un periodo di tempo piuttosto lungo (anche superiore a tre mesi) prima che il paziente possa camminare senza l'ausilio di stampelle ed appoggiare completamente il suo peso sull'arto operato.

Per le fratture laterali a livello dei trocanteri, considerando che la consolidazione avviene con facilità essendo la zona molto vascolarizzata, si interviene stabilizzando la frattura in atteggiamento corretto del femore e permettendo la mobilizzazione precoce e il carico immediato.

A tale scopo vengono usate tecniche di sintesi dinamica come la vite a placca dinamica, i chiodi elastici endomidollari di Ender, e il sistema di sintesi endomidollare bloccata, noto come “chiodo gamma”, che permette la ripresa funzionale immediata all'operato.

Le complicanze chirurgiche sono diverse a seconda che si tratti di fratture sottocapitate e medio cervicali, cioè intracapsulari, oppure di fratture extracapsulari a livello inter o sottotrocanterico.

Quelle intracapsulari sono le più gravi sia per problemi biologici, ossia legati al particolare tipo di circolazione terminale che irrora la testa del femore, sia per problemi meccanici per la necessità di dover ricollegare in modo solido un piccolo frammento sferico, completamente libero di ruotare in tutte le direzioni, con un frammento enorme formato da tutto il resto del femore.

Mentre le fratture del collo del femore pertrocanteriche e basicervicali, se trattate chirurgicamente, guariscono rapidamente e senza esiti, quelle mediocervicali e soprattutto sottocapitate, anche se operate perfettamente, possono andare incontro a complicanze che annullano il risultato dell'intervento.

L'osso spugnoso e decalcificato della testa del femore può far sì che i mezzi di sintesi (viti) non tengano la presa, sfilandosi, provocando la mancata consolidazione della frattura causando pseudoatrosi.

Poiché l'irrorazione sanguigna che nutre la testa del femore passa attraverso l'esile vascolarizzazione capsulare che viene quasi sempre interrotta per la lacerazione dei piccoli vasi in seguito alla frattura, può succedere che la frattura operata guarisca normalmente mentre la testa femorale, non più nutrita, vada in necrosi ossia si trasformi in tessuto devitalizzato che si raggrinza e si deforma con grave danno per la funzione articolare.

Sia la necrosi della testa che la pseudoartrosi creano una grave menomazione della possibilità di deambulazione: nel primo caso interviene una artrosi secondaria che continua a peggiorare e nel secondo, dopo aver rimosso il chiodo o la vite perché causa di dolore, il carico avviene sulla capsula come se la frattura non avesse avuto alcun trattamento.

Alla luce di tali complicanze, la soluzione immediata delle fratture del collo del femore a livello intracapsulare mediante utilizzo di una protesi totale d'anca è pertanto sempre più praticata dai chirurghi ortopedici e permette di recuperare rapidamente molti pazienti anziani che fino a qualche anno fa andavano incontro invece a gravi invalidità permanenti.

Interventi infermieristici

L'infermiere partecipa alla riduzione, aperta e chiusa, della frattura, alla sua immobilizzazione nonché al mantenimento e alla reintegrazione della funzionalità per assicurarne la miglior guarigione possibile.

Gli interventi infermieristici comprendono la gestione del dolore correlato alla frattura, al danno dei tessuti molli, agli spasmi muscolari e all'intervento chirurgico; la gestione della compromissione della mobilità assicurando che l'anca non presenti dolore e rimanga stabile e funzionale; la guarigione dell'incisione chirurgica con il controllo dei infezioni; la gestione dell'eliminazione urinaria ed intestinale che risultano alterati dall'immobilità.

E ancora: la gestione dello stress fisico e psicologico favorendo meccanismo di coping efficace nonché la promozione di esercizi di rafforzamento delle braccia e delle spalle per favorire la deambulazione assistita; il monitoraggio e il trattamento di eventuali complicanze, iniziali e tardive, correlate all'evento traumatico, alll'intervento chirurgico e all'immobilità quali emorragia, compromissione dello stato neurovascolare, Tvp, complicanze polmonari, ulcere da decubito.

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